Venerdì 27 e sabato 28 aprile al Teatro Alighieri di Ravenna andrà in scena “Ifigenia, liberata” di Carmelo Rifici.
“Ifigenia, liberata”, progetto e drammaturgia di Carmelo Rifici e Angela Demattè, chiude La Stagione dei Teatri: in scena venerdì 27 e sabato 28 aprile, al Teatro Alighieri di Ravenna.
Rifici sceglie un affondo nel mito come seconda produzione che nasce dalla collaborazione fra il LAC di Lugano (in cui è direttore artistico della sezione teatro) e il Piccolo (del quale dirige la Scuola di teatro).
Ifigenia è solo l’inizio dell’indagine che il regista propone allo spettatore, una riflessione sull’annosa questione dell’origine della violenza dell’uomo come realtà inestirpabile e mistero senza fine: un tema dall’evidente contemporaneità.
Da Cechov agli Atridi: un’indagine sulla violenza a partire dal mito
Dopo aver affrontato con originalità le ossessioni di Trepley e Nina nel Gabbiano di Chechov, Rifici riflette sulla tendenza alla sopraffazione del genere umano, partendo dal mito: la sfida muove dagli Atridi per arrivare a toccare una lunga lista di titoli e autori su cui poggia il pensiero occidentale come Eraclito, Omero, Eschilo, Sofocle, ovviamente Euripide, Antico e Nuovo Testamento, Friedrich Nietzsche, René Girard, Giuseppe Fornari.
Afferma Rifici: "Lo spettacolo nasce dall’esigenza di indagare, ancora una volta, l’uso della violenza, sia a livello macroscopico sia nel microcosmo familiare. Ciò che mi inquieta fortemente è questa ineliminabile caratteristica dell’essere umano di distruggere, di chiudere. Nella sua continua evoluzione tecnologica e scientifica la nostra specie non ha mai fatto a meno delle guerre, del sangue, della sopraffazione. Perché?”
Ifigenia, liberata
In ”Ifigenia, liberata” la virgola del titolo assume un’importanza evocativa fortissima, dividendo idealmente due mondi: quello della protagonista destinata al sacrificio e quello della sua impossibilità di vivere e amare.
In una sala prove (ma potrebbe essere anche un altro luogo) attori e pubblico insieme a un regista e una drammaturga riprendono il Mito degli Atridi, partendo dal testo del tragediografo greco Euripide, Ifigenia in Aulide. In realtà è solo un pretesto di partenza necessario per portare alla luce l’intuizione segreta di Euripide: l’eroe greco non è colpevole, colpevole è la folla che ha bisogno di un colpevole.
Schiacciata dal volere paterno, contagiata dalla follia del popolo, Ifigenia sembra non poter uscire da un destino senza speranza in cui solo il sangue di un innocente può placare la violenza della folla. Non solo gli Atridi, ma tutto l’occidente ne porteranno il pesante fardello. Le parole di Atena che chiudono l’Orestea, il suo delegare agli uomini la responsabilità attraverso leggi condivise, non hanno ancora portato ad una soluzione: ancora oggi gli uomini cedono alla violenza, non trovano altro modo per combatterla se non usandola a loro volta, sempre in nome di un padre da vendicare, di un territorio da difendere, di un Dio da obbedire.
La vicenda di Ifigenia è il nocciolo di una storia più grande, più complessa, più stratificata nei secoli e nella cultura.
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